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.Lanotte, andarono a casa sua i killer che non avevano centrato il bersaglio come si doveva.A casa di miopadre.Io non c'ero, abitavo con mia madre.Ma mi fu raccontata talmente tante volte questa storia,troncata sempre nel medesimo punto, che io la ricordo come se a casa ci fossi stato anche io e avessiassistito a tutto.Mio padre, credo, fu picchiato a sangue, per almeno due mesi non si fece vedere in giro.Per i successivi quattro non riuscì a guardare in faccia nessuno.Scegliere di salvare chi deve moriresignifica voler condividerne la sorte, perché qui con la volontà non si muta nulla.Non è una decisione cheriesce a portarti via da un problema, non è una presa di coscienza, un pensiero, una scelta, che davveroriescono a darti la sensazione di star agendo nel migliore dei modi.Qualunque sia la cosa da fare, saràquella sbagliata per qualche motivo.Questa è la vera solitudine.Il piccolo Nico era tornato a ridere.Micaela ha più o meno la stessa mia età.Anche a lei, quandoconfessava di andare in Italia, di andarsene via, avranno fatto gli auguri senza chiederle nulla, senzasapere se andava a far la puttana, la sposa, la colf, o l'impiegata.Non sapendo altro che andava via.Generated by ABC Amber LIT Converter, http://www.processtext.com/abclit.htmlCondizione sufficiente di fortuna.Nico però ovviamente non pensava a nulla.Serrava la boccaall'ennesimo frullato che la madre gli dava per ingozzarlo.Mio padre per farlo mangiare gli pose il pallonevicino ai piedi, Meo lo calciò con tutta la forza.La palla rimbalzò su ginocchia, tibie, punte di scarpe, didecine di persone.Mio padre iniziò a rincorrerla.Sapendo che Nico lo guardava, finse goffamente didribblare una suora, ma la palla gli scappò nuovamente dai piedi.Il piccolo rideva, le centinaia di caviglieche vedeva distendersi dinanzi agli occhi lo facevano sentire in una foresta di gambe e sandali.Gli piacevavedere il padre, nostro padre, affaticare la sua pancia per prendere quel pallone.Cercai di alzare la manoper salutarlo, ormai un muro di carne l'aveva bloccato.Sarebbe rimasto ingorgato per una buonamezz'ora.Inutile aspettare.Era davvero tardi.La sagoma non si intuiva neanche più, ormai era statainghiottita sin nello stomaco della folla.Mariano era riuscito a incontrare Michail Kalashnikov.Era stato un mese in giro per l'est Europa.Russia, Romania, Moldavia: una vacanza premio regalata dai clan.Lo rividi proprio in un bar a Casal diPrincipe.Lo stesso bar di sempre.Mariano aveva un grosso pacco di fotografie legate con l'elasticocome fossero figurine Panini pronte allo scambio.Erano ritratti di Michail Kalashnikov autografati condediche.Prima di ripartire, si era fatto stampare decine e decine di copie di una foto di Kalashnikovritratto nella divisa di generale dell'Armata Rossa, con al petto una cascata di medaglie: l'ordine di Lenin,la medaglia d'onore della Grande guerra patriottica, la medaglia dell'Ordine della Stella Rossa, quelladell'Ordine della Bandiera Rossa del Lavoro.Mariano era riuscito a raggiungerlo grazie alle indicazioni dialcuni russi che facevano affari con i gruppi del casertano, e proprio da questi era stato presentato algenerale.Michail Timofeevic Kalashnikov viveva in un appartamento in fitto in un piccolo paese ai piedi degliUrali, Izhevsk-Ustinov, che sino al 1991 non era neanche registrato sulla carta geografica.Era uno deinumerosi territori tenuti segreti dall'URSS.Kalashnikov era la vera attrazione della città.Avevano fattoper lui un collegamento diretto con Mosca, ormai era divenuto una sorta di attrazione turistica per turistid'elite.Un albergo vicino a casa sua, dove aveva dormito Mariano, faceva affari d'oro ospitando tutti gliammiratori del generale che attendevano in città il suo ritorno da qualche tour in giro per la Russia, osemplicemente aspettavano di essere ricevuti.Mariano era entrato con la telecamera raccolta nel palmodella mano nella casa del generale Kalashnikov e di sua moglie.Il generale gliel'aveva consentito,chiedendogli solo di non rendere pubblico il filmato, e Mariano ovviamente aveva annuito sapendosoprattutto che colui che aveva mediato tra lui e Kalashnikov conosceva il suo indirizzo, il numero ditelefono e la sua faccia.Mariano si presentò dal generale con un cubo di polistirolo chiuso da uno scotchpieno di facce di bufala stampate sopra.Era riuscito a conservare nel cofano della macchina questascatolona con delle mozzarelle di bufala dell'agro aversano immerse nel latte.Mariano mi mostrava il filmino della sua visita a casa Kalashnikov nel piccolo monitor che si apriva allato della telecamera.Il video saltava, le immagini si agitavano, i volti ballavano, le zoomate deformavanoocchi e oggetti, l'obiettivo sbatacchiava contro pollici e polsi.Pareva il video di una gita scolastica giratomentre si salta e corre
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